mercoledì 23 gennaio 2008

Una riflessione ad alta voce

di Flaviano Franceschetti

Io che non ho mai capito i meccanismi della politica, ho sempre cercato di ragionare secondo le mie idee in maniera logica e soprattutto in senso propositivo. Ma quando poi vengono meno le aspettative nei confronti di coloro che sono nostri rappresentanti, mi sento autorizzato a fare una riflessione ad alta voce e a domandarmi perché questo avviene, senza che le mie parole siano considerate una semplice critica e tanto meno un attacco.

Si possono portare vari esempi sulle cose che sono andate diversamente da come avrei voluto. Penso al fallimento del Coordinamento tra i vari gruppi che sostengono la maggioranza in Comune, al fallimento dei gruppi di lavoro che avrebbero dovuto approfondire i problemi e favorire la partecipazione, alla mancanza quasi assoluta di comunicazione tra chi amministra e i cittadini.

La conseguenza è stata che ogni gruppo ha lavorato isolatamente, ha espresso in modo autonomo le sue idee e proposte senza condividerle, arrivando perfino a esprimere valutazioni contrarie a quelle degli altri. L’altra conseguenza è stata quella di non capire più le vere intenzioni di chi avanza una proposta diversa.

Per esempio mi domando:

Perché non si possono ricordare i punti più importanti del programma elettorale non ancora affrontati?

Perché non si può avere un’idea diversa per risolvere il problema degli edifici scolastici?
Perché non si può avere una visione alternativa per risolvere il disagio creato dalla carenza di impianti sportivi che molti lamentano?
Perché insomma non si può intervenire sui problemi aperti senza che questo venga considerato come un attacco all’Amministrazione?
Mi viene da pensare che non c’è sufficiente democrazia (e non credo). Penso invece che si tende a strumentalizzare i discorsi, perdendo il senso del dialogo, della partecipazione, e che non si sta più in mezzo ai cittadini, che non si vuole ascoltare la loro voce, informare, spiegare.
Non bisogna avere paura delle proposte critiche, perché più punti di vista su un problema aiutano a inquadrarlo meglio.

E’ questo che spero si possa ancora fare con i gruppi, politici e non, che si riconoscono nella stessa area ed hanno a cuore il bene del nostro Comune

A questo proposito, ricordo che questo foglio è aperto a chiunque voglia esprimere liberamente il suo pensiero su qualsiasi questione lo interessi.


Il Centro delle diverse abilità

di Nicoletta Principi

Chissà quanti sono gli ostrensi che conoscono “La Giostra”…?
Io ne sono venuta a conoscenza qualche anno fa tramite esperienza indiretta e ne sono rimasta colpita.
In località San Gregorio, nell’aperta campagna, dal 2001 è operativo il Centro socio-educativo “La Giostra” con l’intento di “promuovere l’autonomia personale e il processo di integrazione sociale nei confronti di portatori di diversibilità medio-grave in età post-scolare”.
In altri termini, il Centro consente ai diversamente abili, che vi partecipano, di intraprendere un percorso di crescita che li aiuta a sviluppare le capacità relazionali e pratiche e li prepara ad un eventuale inserimento nel mondo del lavoro.
Gli operatori insegnano a vivere il quotidiano, a coltivare la terra, a curare piante e fiori, a realizzare manufatti artigianali, ad avere cura della casa, con regole precise da rispettare e con prove settimanali che da un lato consentono di testare i risultati raggiunti e dall’altro forniscono un ulteriore stimolo per i ragazzi che affrontano le prove della vita.
Se per i ragazzi il Centro è una opportunità, per le famiglie dei diversamente abili rappresenta un punto di riferimento, una guida alla crescita e alla formazione dei loro parenti, una condivisione delle quotidiane difficoltà

Molte sono le persone, soprattutto nella frazione di Pianello, che volontariamente contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento del centro educativo.La Giostra” ha bisogno di questa gente e sarebbe auspicabile che il numero dei volontari crescesse e accomunasse tutti gli abitanti del Comune di Ostra.Se è vero che ancora molto è da fare, questa è la testimonianza di una esperienza positiva che va curata e sostenuta affinché possa costituire la radice di una Società che non guarda alle diversità, ma alle abilità.

Le educatrici e gli ospiti del Centro: Ilenia, Noa, Marco, Betta, Maria Grazia, Elisa, Claudio, Liana

Auguarano ai cittadini di Ostra

Buon Natale
e

Felice Anno Nuovo

La Sinistra Arcobaleno La Stampa e la TV

La nascita della Sinistra Arcobaleno non ha fatto notizia.
Relegata nelle pagine interne dei quotidiani nazionali, tra le malinconiche notizie di cronaca, nera, rosa e del gossip della politica, è passata pressoché inosservata la notizia dell’assemblea degli Stati Generali della Sinistra italiana, svoltasi a Roma nei giorni 8 e 9 dicembre.
Eppure si tratta, dopo la costituzione del Partito Democratico, che ha richiesto anni di appassionate discussioni, di un avvenimento importante della politica italiana. Innanzitutto perché la Federazione tra Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi e Sinistra ex DS va nella direzione, da molti indicata e auspicata, di una semplificazione del superfrastagliato panorama politico italiano.
Quattro partiti hanno dichiarato di volersi sciogliere per presentarsi uniti alle prossime elezioni sotto un unico simbolo.
Anche se è solo l’inizio di un processo, non sembra un impegno di poco conto. Non mancheranno, ne siamo certi, battute d’arresto e difficoltà. Ora, però, che la marcia è cominciata, sarà più difficile tornare indietro. Anche perché in tanti sono consapevoli che, dopo decenni e decenni di divisioni, o si va avanti uniti o si va tutti a casa. In caso di fallimento di questo processo, la sinistra, almeno questa sinistra, avrebbe definitivamente chiuso, in Italia, il conto con la storia.
Una nuova nascita, una sinistra che non sia il riassunto di ciò che fummo, ma capace di ospitare domande di libertà, di leggere nel cuore della società…”. E ancora: “Una sinistra plurale, laica, ambientalista, femminista e di governo…”. Questo, in sintesi, il senso dichiarato di una sinistra unitaria capace di guardare avanti. La svolta non può essere soltanto quella di aver tolto dal simbolo falce e martello ed anche la parola “comunista”.
Forse non basta ancora. Ma come inizio può essere considerato incoraggiante.

“SIAMO ALLA COMICHE FINALI”


C’eravamo tanto amati…
Oggi, però, da una parte e dall’altra, esplode un incontenibile risentimento. E volano gli “stracci”: Fini attacca Berlusconi. Il Cavaliere risponde.
Fini dice che AN non si scioglierà per aderire ad un indistinto “Partito del popolo delle Libertà”, del quale non sono dichiarati valori, programma, classe dirigente.
Tema dello scontro non è solo il partito unico che Berlusconi vuole, chiedendo agli altri di sciogliersi. Ma anche la legge elettorale, il cosiddetto “Vassallum”, che Fini non esita a definire “Legge truffa”, perché consentirebbe ai due partiti maggiori di raccogliere un numero di parlamentari molto più alto dei consensi elettorali ottenuti.
Tutto nasce da quell’accordo Veltroni-Berlusconi sulla nuova legge elettorale che supererebbe non solo l’attuale indifendibile assetto partitico, fatto di troppe sigle e di esasperata frammentazione, ma introdurrebbe una sorta di bipartitismo, con i piccoli a far da cornice a due supposti “giganti”.
I quali, però, stando anche alle statistiche più ottimistiche e di parte, non supererebbero il 30%.
Di qui l’accusa di Fini, e non solo, di truffa ad una legge che sembra ritagliata su misura per i due nuovi partiti.
Il duello continua e il “teatrino” della politica (Berlusconi docet) è solo al primo atto, con il Cavaliere che cerca di calarsi in tutte le parti: autore,regista e protagonista.

“La fabbrica dei ragazzi”


Così veniva chiamata familiarmente l’acciaieria Thyssen-Krupp di Torino per la caratteristica di avere una manodopera giovane. Infatti avevano un’età tra i 26 e i 43 anni: Roberto Scola, Alberto Schiavone, Angelo Laurino, Bruno Santino, gli operai che sono morti nel rogo divampato nel reparto trattamento termico dello stabilimento. A loro si è aggiunto purtroppo Rocco Marzio, 54 anni, capo reparto.
Gli operai del turno di notte hanno cercato di domare l’incendio, ma sono stati investiti da una fiammata che li ha trasformati in torce umane.
Un minuto di silenzio al Teatro Alla Scala di Milano, dove il pubblico in lustrini e smoking, rigorosamente d’alta moda, ha pagato fino a 2.400 euro un biglietto; un minuto di silenzio nei luoghi istituzionali, nelle assemblee di partito; certo una partecipazione più profonda al dolore nei luoghi di lavoro. Soprattutto una fascia nera al braccio, in segno di un lutto, che dovremmo portare tutti come cittadini italiani. Dentro quel minuto o quell’ora, il sentimento dovrebbe tradursi in pensiero, riflessione, iniziativa.
La morte nella “ fabbrica dei ragazzi” si carica di significati tragicamente reali e allo stesso tempo drammaticamente simbolici. Contiene tutte le inefficienze, le carenze, i limiti che caratterizzano una parte del mondo del lavoro, a partire da quello giovanile, ma rappresenta in generale una idea e una realtà del lavoro che non ci piace. C’è dentro innanzitutto la “precarietà”: l’acciaieria era in via di smantellamento e chi vi lavorava, pur lamentando l’inadeguatezza delle misure e dei mezzi di sicurezza, temeva soprattutto lo spettro del licenziamento, come accade anche oggi che la fabbrica è stata chiusa per i necessari accertamenti. E questo richiama la dimensione globale del mercato: spinte a inseguire alti livelli di competitività, che vuol dire produttività al minor costo, le aziende mirano a diventare giganti nel mercato trascurando
la dimensione umana del lavoro su cui hanno costruito la loro fortuna.
Anche nel contesto particolare
del modello marchigiano, la delocalizzazione, cioè l’apertura o il trasferimento dell’azienda in paesi in cui il lavoro costa meno, comincia ad essere un processo quasi naturale, favorito magari da un passaggio di proprietà dal piccolo imprenditore alla multinazionale, il colosso di cui si possono scorgere solo i - pur minacciosi - piedi d’argilla.
Oppure, al livello più basso di cultura del lavoro e responsabilità sociale, risulta più conveniente rimanere nel territorio del sommerso, dell’illegale, del lavoro nero, dove si muore in modo anonimo, senza neppure il diritto al compianto.
I giovani operai di Torino ricordano ora tutto questo alle nostre coscienze sopite. Ogni battaglia, ogni denuncia, ogni azione combattuta per la dignità del lavoro sembrano appartenere a vecchie ideologie, a comportamenti che non hanno più nulla a che fare con i tempi in cui viviamo. Siano pure nuove, moderne, al passo con i tempi le strade e le forme che adotteremo per garantire meglio la sicurezza e la dignità del lavoro. Nessuno però si sottragga ora alle sue responsabilità di imprenditore, politico, sindacalista, lavoratore, cittadino, uomo, perché il problema riguarda tutta intera la nostra società, mentre coinvolge valori, scelte e comportamenti di ciascuno di noi.
Parliamo di responsabilità collettive e individuali perché in questi giorni abbiamo sentito ciascuno indicare tutt’al più le responsabilità degli altri, mai le proprie.