venerdì 13 giugno 2008

Un cambiamento è anche una prova


La paura di ciò che non conosciamo, che appartiene a un “altrove”, sia esso un luogo, un modo di vivere, di credere, di pensare diverso dal nostro, è un sentimento naturale, che appartiene a uno spontaneo meccanismo di difesa. Crea un bisogno di agire con prudenza, circospezione, attenzione e razionalità, ma si coniuga e interagisce con altre disposizioni naturali che ci aiutano a superare la paura e il sospetto: quella curiosità che risponde a un bisogno di conoscenza e di relazione.
Di fronte a un cambiamento epocale, come quello che sta trasformando il tessuto sociale delle grandi città ma anche dei piccoli centri rendendolo più variegato e multietnico, fino ad oggi aveva prevalso un atteggiamento di prudente attenzione e, talora, di benevola accoglienza, anche dietro la spinta di una esigenza personale, familiare, aziendale. Quante famiglie hanno affidato i loro anziani a giovani donne provenienti da vari paesi, soprattutto dell’est europeo! Non abbiamo esitato ad affidare le persone più care a degli immigrati, senza pregiudizi, senza chiedere altro se non che svolgessero onestamente il compito affidato. E sulla base di questa esperienza, costruivamo anche il nostro punto di vista sull’immigrazione, conservando, i più, una storia di emigrazione nel patrimonio della propria famiglia, che ci aiutava a capire.
Ma questo assetto di civile convivenza, a cui si accompagnano spesso accoglienza, rispetto, solidarietà, è turbato, messo a rischio, e in alcune situazioni è sconvolto, da quella parte consistente del fenomeno migratorio che è dominato, organizzato e sfruttato su larga scala dalla delinquenza organizzata, mentre nel quotidiano trova la connivenza di individui che speculano sui più elementari diritti di ogni uomo. Immigrati ridotti a un degrado di vita e di lavoro, talora un vero abbrutimento, che può generare solo altro male. Qualcosa che fa male anche a noi, alla nostra
intelligenza e umanità, al bisogno di far prevalere la parte migliore della nostra persona su egoismi, pregiudizi e paure, che pure sono parte di noi.

Man mano che la recente campagna elettorale si sviluppava, il tema dell’insicurezza sociale assumeva una dimensione enorme fagocitando tutte le altre questioni. Anzi, tutti i problemi, dal lavoro, alla casa, alla salute, venivano ricondotti ad una unica matrice: l’immigrazione. Si identificava così il nemico unico, cancellando ogni distinzione, senza declinare ragionevolmente il fenomeno nelle sue varie componenti. Ed hanno vinto quanti hanno soffiato sul fuoco alimentando paura e intolleranza.
Penso che la legalità, valore fondamentale per ogni convivenza, necessiti di regole chiare e applicazione certa delle pene: sta a noi cittadini italiani chiederlo con forza alle istituzioni. Ogni altro espediente, sceriffi e ronde compresi, indeboliscono lo stato democratico e non servono che ad aumentare l’insicurezza generale.

Siamo ad un bivio: da una parte c’è la scorciatoia del far west, della guerra pubblica e privata più congeniale ai delinquenti che agli onesti; dall’altra c’è la via più lunga e difficile della legalità, della responsabilità, della costruzione senza sosta di uno stato di diritto rafforzato dallo impegno civile dei singoli.


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