giovedì 29 novembre 2007

C’è bisogno di regole certe

I toni della politica seguono da tempo un flusso di sordi rumori: al più basso livello, le chiacchiere da comare ripetute come una litania quotidiana; all’opposto, le grida di scomunica dei tribuni di turno; in mezzo le parole della moderazione di facciata, pronte ad essere rinnegate al primo scontro di palazzo. Il tutto amplificato dai media. Una gran gazzarra che, si ha l’impressione, copra l’effettiva sostanza dei rapporti, spesso dettati, è sempre una impressione, da interessi di parte, soprattutto elettoralistici.
Al di fuori del bandaraban, i reali problemi della gente e quelli di prospettiva dell’intero Paese Italia tardano a trovare attenzione e soluzione
Eppure, a mio avviso, c’è una questione fondamentale che lega tutte le altre: la definizione democratica e il rispetto di regole condivise e certe, nelle relazioni istituzionali come nei rapporti di lavoro. Una miriade di leggi, leggine, regolamenti sembra rispondere più a una logica di salvaguardia di particolari interessi che ad un inconfutabile principio giuridico ed alla sua attuazione. Così, nel vespaio, chi è dalla parte del diritto risulta spesso più debole rispetto a chi ha il potere, economico e politico, di trovare il cavillo, la scappatoia che spesso la stessa legge nasconde. La chiarezza della norma generale è fondamentale perché ogni individuo si assuma responsabilmente i doveri e i comportamenti che ne derivano. Per comunicare meglio il mio pensiero, voglio soffermarmi su un problema che è già grave oggi, ma rischia di pregiudicare il nostro futuro, quello del lavoro giovanile. Tutti ne straparlano, eppure sta trovando forti ostacoli lo sforzo di inserire nella Legge Finanziaria alcune regole certe in ordine a due diritti irrinunciabili che valgono sia per l’occupazione giovanile, sia per lo sviluppo dell’economia: la riduzione dei fattori di precarietà del lavoro e l’incentivazione della formazione culturale e professionale, entro un quadro di possibilità di sviluppo scientificamente accertato e delineato.

Alla mancata chiarezza di prospettive, si accompagna una debole e talora contraddittoria affermazione dei diritti-doveri, mentre prende vigore un’azione paternalistica di incentivi ciechi, favoritismi, assistenzialismo, elemosine, che abbassano il livello di civiltà di un Paese e ne pregiudicano lo sviluppo.
I giovani vanno concretamente stimolati dalla famiglia, dalla scuola, dalle istituzioni ad esercitare lo studio, la formazione, il lavoro come una opportunità per valorizzare le proprie capacità e la propria crescita attraverso un impegno che dà anche soddisfazione. Non vogliono chiacchiere, i più neppure tutele di favore, ma chiedono atti politici puntuali e scelte amministrative conseguenti. Invece, assistono soprattutto a spinte e controspinte che annullano la possibilità di mettere a fuoco il problema e assumere iniziative concrete. La modernità tanto auspicata si struttura, specie per quanto riguarda il lavoro, nella peggiore forma di flessibilità: l’incertezza, la precarietà, lo sfruttamento del lavoro.
E’ questo un problema non più legato neppure al livello culturale della persona; anzi, sono proprio i giovani laureati a dover percorrere un lunghissimo iter preparatorio che aggiunge, al percorso universitario, il tirocinio, lo stage, il master (rigorosamente gratuiti i primi, spesso costosissimo il terzo) per affacciarsi su un panorama di possibilità occupazionali sicure solo per chi gode di una rete di protezione familiare, di classe, di partito.
E non è solo un problema di lavoro: l’incertezza assorbita sorso a sorso nella dura, talora inane, ricerca, finisce per plasmare lo sguardo sul mondo e su se stessi, assottigliando la fiducia, la speranza, la voglia di lottare.
Non fare di questo problema il perno della iniziativa giuridica e politica, con urgenza, fin da subito, ci carica di una grave responsabilità.

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